Le sette Terre Cave

28.05.2021

Roberto Morini (fisico nucleare e filosofo)
19 settembre 2017

Gli immancabili "cover-up" da una parte; l'impropria considerazione riservata all'autentico significato di "Miti" (Mythos = "Annuncio" o "Parola rivelata" che si proponeva d'identificarsi con la stessa realtà delle cose) tramandati per millenni dai popoli della Terra e la caparbietà di volerli assolutamente ambientati fuori posto, dall'altra; con una buona dose d'ignoranza nel mezzo, hanno fatto sì che tutto ciò che ci è stato accuratamente tramandato fosse equiparato ad assurde fantasie, a insulsaggini, a "favole" come "Biancaneve e i Sette nani" che anch'essa favola assolutamente non è.

Certamente, quando si parla dell'Antiterra descritta dal pitagorico Filolao (470-390 a.C.), dall'eredità aristotelica (Aristotele 384-322 a.C.) fino ad arrivare alla moderna Wikipedia, pare si voglia mandare l'intelligenza a tenere compagnia ai glutei! E, i ricercatori seri sono etichettati come... "alternativi". Le motivazioni sono chiare: tutti hanno interesse che, sull'argomento, sia mantenuto il più assoluto riserbo.

Questa era anche la regola imposta da Pitagora (580/570-495 a.C.) laddove, ai suoi discepoli, era proibito parlare, soprattutto, di tutto ciò che potesse riguardare gli "dei" (In modo definitivo e, per sempre: gli "dei" non sono mai esistiti e quando si attribuisce qualche fenomeno naturale alle "punizioni di Dio" è solo per l'imperante ignoranza!). In ogni caso, nulla è mai trapelato dalla scuola pitagorica di Crotone su quanto appreso, approfondito in anni di studi e iniziazioni presso sacerdoti egizi, greci e babilonesi, e trasmesso dal Maestro a una ristretta cerchia di discepoli. Giuseppe Flavio (37/38-100 d.C.), inoltre, afferma (in "Antichità Giudaiche" I - 2,8) che Pitagora avesse scoperto i grandi misteri del nostro Pianeta e, apprese tutte le scienze, leggendo direttamente le iscrizioni incise su due pilastri antichissimi, fatti risalire a prima del Diluvio universale.

Questo Diluvio, poi, per com'è descritto nelle cinquecento diverse versioni conosciute «di cui sessantadue completamente indipendenti (Dr Richard Andree)», non può assolutamente essere accaduto sulla nostra superficie, giacché il ciclo dell'acqua piovana è chiuso. Siccome è più plausibile una sorta di "travaso" (Si aprirono le cateratte del cielo) da uno strato superiore a un altro inferiore, Pitagora può avere visto i due pilastri (sui quali era incisa, come recita la storia, tutta l'antica conoscenza per preservarla dall'imminente diluvio) soltanto in uno dei "mondi sotterranei".

L'osservanza del silenzio tra i pitagorici durò fintantoché, dopo la congiura orchestrata (si dice) da un certo Cilone, essendo scampati alla morte solo i tarantini Archippo e Liside, un discepolo di quest'ultimo di nome Filolao, preso dalla fame secondo Giamblico di Calcide (250-330 ca. d.C.), non scrisse un libro su quanto appreso, facendoselo pagare una fortuna (uno degli acquirenti fu Platone). Chiaramente, Filolao non fu il solo a diffondere i segreti dei pitagorici. Diogene Laerzio (180-240 d.C.) afferma che Empedocle (V sec a.C.) avesse divulgato la stessa dottrina attraverso le sue poesie ("Vite dei filosofi" VIII - 54,55. Una delle fonti principali sulla storia della filosofia greca).

Ciò che qui interessa, dei contenuti di questo libro, è quello che riguarda il "Kosmos", quello che noi, comunemente, chiamiamo Universo. Ed è proprio da qui, da questo Kosmos, che è partita la "Questione Filolaica", spodestando la Terra dalla sua posizione geocentrica (Anche la Fisica Classica, infatti, dimostra dati alla mano il geocentrismo. La Nuova Fisica, invece, con una reinterpretazione paradossale dei dati scoperti insegna l'eliocentrismo ma, alla fine, solo come filosofia imposta). Possiamo a ragione affermare, quindi, che il geocentrismo fu scalzato volutamente per ragioni filosofiche (Una sorta di ateismo epistemologico) e l'interpretazione di quel "Kosmos" stravolta altrettanto volutamente, giacché Filolao fu molto preciso nella sua descrizione cosmologica, come riportò il dossografo Aezio (I o II Sec. d.C.), uno dei suoi principali commentatori: «Per Filolao, un fuoco nel mezzo, al centro, ch'egli chiama "Focolare" del Tutto, e "Casa di Zeus", e "Madre degli dei", nonché "Altare", "Concentrazione" e "Misura della natura"; ed ancora un differente fuoco nella zona più alta, l'involucro (Quello che è conosciuto come crosta terrestre).

Primo poi sarebbe per natura il fuoco mediano (Il "fuoco del focolare" che sta in mezzo, cioè al centro), ed intorno a esso farebbero le loro evoluzioni ("evoluzioni" non significa che orbitino come apparirebbe nello schema) dieci corpi divini: (Dopo la sfera degli astri fissi) i cinque erranti (I cinque pianeti conosciuti dai greci: "Planétes" in greco significa "Errante"), dopo i quali il Sole, sotto il quale la luna, sotto la quale la terra, sotto la quale l'Antiterra (In greco antico: Αντίχθων "Antichthon"); dopo tutti quanti i quali il fuoco del focolare, che tiene la posizione nella zona centrale». Con una descrizione così particolareggiata, anche un bambino comprenderebbe che il "Fuoco centrale" è il centro di tutto ed è quello che oggi conosciamo come "Inner Core" e che l'Antiterra è posta tra questo e la nostra superficie della Terra.

L'Antiterra, quella "Terra Cava" la cui esistenza nessuno ammetterebbe mai pubblicamente, anche perché, lo stesso Aezio, fa nascere un problema molto scottante, precisando che è un «luogo abitabile, o abitato»!

Per Aristotele ("De Caelo" 293 a23, b21) e, per quanti dopo di lui invece, Filolao, che dimostrò di ben conoscere anche la sfericità della Terra a differenza di tanti altri suoi contemporanei, fu un visionario da non prendere in considerazione, perché nessuno è mai riuscito a trovare ciò che si pretendeva fosse in un luogo diverso da quello genuinamente inserito e, descritto. A ben vedere, se si prendono in considerazione i miti di tanti popoli, sparsi un po' ovunque sulla Terra e, difficilmente tutti entrati in stretto contatto tra loro, di "visionari" come Filolao ce ne sono tantissimi... anche adesso.

Trattare in questa, o in altra sede, in modo approfondito tutti i miti, le leggende e i racconti dei popoli della Terra, sarebbe un'impresa disperata ma, quanti hanno dedicato la loro vita allo studio della storia delle religioni e, della mitologia, sono consapevoli che l'idea di un'origine dell'uomo all'interno del Pianeta, sia una sacrosanta verità. In ogni caso, Eschimesi, Greci, Iraniani, Vietnamiti, Giapponesi, Tibetani, Sumeri, Egizi, Galli, Celti, Aranda (Oceania centrale), Boscimani (Africa australe), Pellerossa americani (Delaware, Apache Jicarilla, Navajo, Hopi, Sioux, Mandan), Taino (Grandi Antille), Messicani, Maya-Quichè, Aztechi, Incas, ecc... conservano tutti, nelle loro rispettive tradizioni, la stessa visione delle loro origini: una sorta di "emersione", da una terra sotterranea, dov'erano "maturati" per lungo tempo, passando in superficie attraversando un "cielo solido" (Grosso scoglio interpretativo per molti). Gli Eschimesi, in particolare, indicano ancor'oggi il Nord come il loro luogo d'origine e sostengono di provenire da una terra paradisiaca, illuminata da una luce particolare e posta all'interno di una cavità del nostro Pianeta. Le singole tradizioni sono interessantissime ma, lo spazio è esiguo e tanti sono gli argomenti, quindi chi volesse approfondire può farlo anche da solo.

Ciò che conta è che l'esistenza, di una o più Terre Cave, possa armonizzare, oltre le suddette tradizioni, tutto ciò che, ostinatamente inserito nel nostro ambiente cosiddetto di "superficie", può sembrare completamente assurdo, tipo: il giardino dell'Eden e la longevità di certi personaggi biblici (Si veda l'iranico "Airyana Vaejo" e William Warren "Paradise Found" - 1885 - pag. 47: «La culla della razza umana, l'Eden delle tradizioni mitologiche, si trovava al polo nord»); la torre di Babele (Per raggiungere concretamente il "cielo solido" presunta dimora degli "dei"); il mappamondo babilonese (VII sec. a.C. ca.); la biblica creazione di un firmamento per separare le acque di sopra da quelle di sotto; la creazione dei luminari del firmamento (Dopo il "Fiat Lux e la luce fu"), per separare nuovamente la luce dalle tenebre; ecc... ecc... (Firmamento = dal latino "firmus" che significa "solido". Persino Wikipedia, citando P.H. Seely, pone in grande evidenza che: «Con il termine "firmamento" s'indicava il cielo considerato come una cupola solida, alla quale erano rigidamente collegate le stelle; una concezione condivisa da tutti i popoli antichi di tutti i continenti»). In questo modo, tutto assume un aspetto logico e trova, senza forzature, la sua giusta sistemazione spaziale e temporale. In verità, pure moltissimi scienziati illustri, in passato, hanno formulato le stesse conclusioni per spiegare dei fenomeni che sulla nostra Terra convenzionale non si riuscivano a giustificare.

Anche noi possiamo aggiungere a queste, ormai non più, "stranezze", informazioni a supporto di una o più Terre Cave. Gli Aztechi dell'ultima generazione, per esempio, non ebbero alcuna esitazione nell'indicare a Cortez (XVI sec. d.C.) da dove fosse possibile estrarre i metalli, indicando il cielo. Questo, perché i loro antenati avevano visto e toccato con mano tale realtà e, in mancanza di mezzi adeguati per accertarsene direttamente, non avevano alcun motivo di dubitare delle loro affermazioni. C'è da aggiungere, in proposito, che nell'antica lingua egizia il ferro era chiamato "BJA", una parola che letteralmente significava "metallo del cielo" (Per i Sumeri, invece, il "metallo del cielo" era lo stagno che, in ogni caso, non cambia ciò che si vuole dimostrare).

Nel 1692, com'è abbastanza noto, Edmund Halley (1656-1742 d.C.) teorizzò, dopo vent'anni di studi, che all'interno della Terra ci fossero dei "gusci" delle dimensioni dei pianeti Venere, Marte e Mercurio, separati da un'atmosfera luminescente e che detti continenti interni fossero abitati. Halley si convinse, dopo lunghi studi ed esperimenti, che l'interno del nostro Pianeta fosse una sorta di galassia in miniatura!

Nel 1818, John Cleves Symmes, Jr. (Capitano di fanteria americano) avanzò l'ipotesi che la Terra fosse formata da un guscio cavo di 1300 km di spessore, con due cavità di 2300 km di diametro su entrambi i poli geografici (Le "conferme" ufficiali sono arrivate con le sonde spaziali, come vedremo in seguito). Per Symmes, oltre la crosta esterna ci sarebbero quattro gusci interni, abitabili, anch'essi con aperture ai Poli. Anche questi dati trovano conferma nell'apparato mitologico americano, dove esistono riferimenti precisi sull'esistenza di più mondi sovrapposti. Ugualmente, i Navajo si caratterizzano per la loro cosmologia che prevede l'esistenza di quattro mondi sotterranei, composti su più livelli, tre dei quali sarebbero stati distrutti da vari cataclismi e solo il più esterno, "Nihodilgil", sarebbe ancora intatto.

Più tardi, nel 1871, sette anni dopo la pubblicazione di "Viaggio al centro della terra" di Jules Verne, fu pubblicato, dall'autore Bulwer Lytton, "The coming race". Il lato interessante di questo libro, che non ottenne alcun successo per ovvi motivi, è la descrizione di una società tecnologicamente avanzata con la quale Lytton entrò casualmente in contatto, autodefinitasi "Vril-ya", che si sarebbe rifugiata nel sottosuolo, per sfuggire a spaventosi cataclismi avvenuti in superficie molto tempo prima.

Interessanti anche le osservazioni riportate da William Reed in "Phantom of the Poles" (1906), che portò, a sostegno delle medesime, i racconti di alcuni famosi esploratori polari dell'epoca, tra cui Louis Bernacchi, Fridtjof Nansen, Karl Mauch, Adolphus W. Greely, Allen Henry e altri, i quali rimasero sbigottiti dal fatto che l'ago della bussola tendesse con forza a porsi verticalmente. Da questi resoconti, Reed arrivò a sostenere che i Poli non fossero mai stati scoperti in realtà, semplicemente perché non esistono: al loro posto si troverebbe un enorme buco con il passaggio diretto al "Continente Interno" (Si veda quanto suddetto a proposito di Symmes). Altro argomento di stupore per gli esploratori furono gli enormi iceberg di acqua dolce e non salata. Quando, poi, Robert B. Cook rinvenne negli strati glaciali i resti di mammut perfettamente conservati, Marshall Gardner (Autore di: "A Journey to the Earth's Interior" - 1913), affermò che non era possibile che un reperto fosse rimasto integro così a lungo e che, quelli trovati, sarebbero stati i resti di creature morte di recente dopo essere fuggite dal "Continente Interno". (Si rammenta che la presenza di mammut al pascolo è ampiamente riportata nell'arcinoto diario di bordo dell'ammiraglio americano Richard Evelin Byrd - 19/02/1947 ore 10:05 - che eviterò di citare in seguito, a parte qualche riscontro "ufficiale", perché è da prendere con le classiche pinze, ma ne parlerò meglio in altra sede).

Recentemente, è stato comunicato che il giornalista russo Nikolai Subbotin, analizzando i documenti declassificati del KGB, si è imbattuto in un fascicolo denominato "Orion" che conterrebbe preziose informazioni sulle attività dei nazisti in Antartide, prima e durante la seconda guerra mondiale.

Tra i suddetti documenti è venuta fuori una mappa che mostra le coordinate per raggiungere Agharti (Asgart nella mappa), il cosiddetto "mondo sotterraneo", dove già intravvedevano di creare la "Neu Berlin".

Un'altra mappa mostra la Liberia, dove si possono notare le Isole Fera e di seguito la città di Shambala, capitale di "Agharti" (O "Aggharta" parola di origine buddista che significa: "non accessibile" e indica un mondo sotterraneo simile al nostro, con montagne e oceani, ambienti perfettamente vivibili e città con milioni di abitanti).

I monaci tibetani confermano, ancora oggi, che la città di Shambala esiste davvero, non sulla superficie del nostro Pianeta, ma nel suo interno. Questa mappa, in qualche modo, ne proverebbe sia l'esistenza, sia la posizione (E se si colloca accuratamente "un qualcosa" su una mappa, significa che è stata anche accertata l'esistenza di "quel qualcosa"). I nazisti, poi, non erano solo interessati al sottosuolo. Nell'aprile del 1942, diversi militari tedeschi, specializzati nell'utilizzo dei radar, furono spediti nell'isola baltica di Rügen, sotto la guida dello scienziato Heinz Fischer. I radar, tra lo stupore generale, anziché monitorare la flotta britannica, furono puntati verso il cielo con una prospettiva di 45° e così rimasero per parecchi giorni. Questa la giustificazione che fu data ai militari: «Noi non abitiamo l'esterno, ma l'interno del globo. Lo scopo della spedizione è dimostrare scientificamente questa verità».

Considerando anche i molti misteri che circondano il continente antartico (Compresa la sparizione di diversi "intrusi"), si comprende il motivo che porta, da diverso tempo, i governi mondiali ad avere cosi tanto interesse per una distesa di ghiaccio apparentemente desolata e inspiegabilmente dichiarata "patrimonio dell'umanità" (Con una settantina di basi, migliaia di militari e l'aggiunta di sedici tra piste e altre installazioni).

Questo interesse non passò inosservato, tant'è che la nota rivista francese "Science et Vie", nel numero 510 di marzo 1960, dedicò un articolo dettagliato a questo fatto. L'interrogativo fu posto proprio sul perché migliaia di militari di undici (Allora: 1960) Paesi (America, Argentina, Australia, Belgio, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Norvegia, Nuova Zelanda e Russia) avessero in pratica circondato l'intero continente con le loro basi, vivendo a una temperatura media di -50° C. Temperatura, tra l'altro, che obbligava (E obbliga) di tenere sempre accesi i motori dei veicoli terrestri e degli aerei. L'unica zona di circa 500 kmq che presenta una temperatura tra i 25° e i 30° C, è l'Oasi di "Bunger" che si affaccia sul Mare di Ross, circondata dalle basi americane e, opportunamente oscurata se si cerca, con Google Earth, d'ingrandirne i dettagli.

L'Italia è presente in Antartide dal 1986, con il programma "PNRA", che nei soli primi venticinque anni aveva già superato il costo di 550 milioni di euro. Un lavoro, ("stranamente" controllato anche dallo Stato Maggiore della Difesa italiano, considerati gli scopi ufficialmente dichiarati) che, oltretutto, potrebbe essere condotto da pochi enti di ricerca senza dover essere sviluppato da una pletora di pseudo "stazioni scientifiche" in una ripetizione di dati che, visto il patto di reciproca collaborazione sarebbe inutile e paradossale («[...] è prevista la cooperazione in essa anche nello scambio delle informazioni ottenute su territori che sono considerati patrimonio dell'umanità». "Trattato Antartico" - 1959).

Franco Malgarini
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